
24 Aprile 2017
La curvatura acquisita del pene: malattia di Peyronie (o Induratio Penis Plastica). Le cause e la terapia.
La malattia di Peyronie (o Induratio Penis Plastica, “IPP”) è una patologia acquisita caratterizzata dalla presenza di una curvatura del pene in erezione, dovuta alla formazione di tessuto fibroso-cicatriziale a livello dei corpi cavernosi del pene.

Si tratta di un problema non eccessivamente raro: circa 1 uomo su 100 ne risulta affetto. L’età tipica di insorgenza è quella compresa tra i 50 e i 65 anni, ma sono stati descritti casi anche in soggetti più giovani.
La curvatura del pene risulta spesso progressiva fino a rendere molto problematica la penetrazione e determinando in certi casi problemi nell’erezione. Non è una condizione pericolosa per la vita dei pazienti ma il suo impatto sulla vita sessuale può essere notevole, con frequenti conseguenze negative psicologiche e sulla vita di coppia . Va distinta dalle curvature congenite del pene che sono presenti dalla nascita e non hanno un decorso progressivo.
Purtroppo ancora oggi le cause della malattia di Peyronie risultano ignote e pertanto non esiste una terapia medica diretta anti-causale. Le terapie attualmente disponibili sono infatti mirate a bloccare il processo di fibrosi (ma non ciò che lo causa): la loro efficacia è risultata variabile e in generale solo parziale. Nei casi in cui la curvatura risulta molto accentuata l’unico rimedio possibile risulta la chirurgia.
Fisiopatologia: la fibrosi della tonaca albuginea.

L’erezione è un processo fisiologico basato sull’afflusso di sangue all’interno dei due corpi cavernosi del pene. I corpi cavernosi sono circondati da una membrana elastica chiamata tonaca (o tunica) albuginea. Nella malattia di Peyronie una zona più o meno vasta della tonaca albuginea risulta interessata da un processo infiammatorio che può determinare nel tempo la formazione di una fibrosi anelastica (una cicatrice) e successivamente di una placca calcifica. A livello microscopico la fibrosi è sostenuta dalla produzione di una particolare proteina – il collagene – da parte di una precisa popolazione cellulare, i fibroblasti. La perdita di elasticità in questa zona del pene fa sì che durante l’erezione si verifichi una curvatura: la direzione della curva può essere variabile (a sinistra, a destra, verso il basso o verso l’alto) a seconda della sede del processo cicatriziale.

Un’altra conseguenza meccanica dell’alterazione fibro-cicatriziale della tonaca albuginea è rappresentata dalla perdita di lunghezza del pene in erezione: di solito l’accorciamento del pene risulta di 1 – 2 centimetri. Più raramente oltre alla curvatura il pene può presentare varie alterazioni della sua forma durante l’erezione, come la deformità a clessidra.
La tonaca albuginea costituisce un elemento anatomico fondamentale per il mantenimento dell’erezione dato che consente la permanenza del sangue nei corpi caversoni (“meccanismo veno-occlusivo”). Le alterazioni anatomiche legate alla malattia di Peyronie possono determinare fenomeni di “fuga venosa” dai corpi cavernosi con conseguente perdita di rigidità del pene. Problemi di disfunzione erettile sono pertanto molto frequenti nei casi di induratio penis plastica, interessando circa il 50% dei pazienti.
Le cause ipotizzate:
La vera causa diretta resta ignota. Si pensa che l’eziologia sia multi-fattoriale: alla base del processo di infiammazione e fibrosi sembra esserci la presenza di traumatismi ripetuti (anche di piccola intensità: “micro-traumatismi”) nell’ambito di soggetti predisposti. Questi insulti traumatici possono essere di natura meccanica - ad esempio durante i rapporti sessuali - oppure microvascolare. La ripetizione del tempo di questi microtraumi può determinare una persistente risposta infiammatoria locale capace di rimodellare il normale tessuto connettivo-elastico della tonaca albuginea in una placca fibrosa.
Anche la predisposizione genetica sembra essere un elemento chiave nella genesi della malattia. In particolare si pensa che la risposta infiammatoria sostenuta dal sistema immunitario delle persone con IPP sia in qualche modo eccessiva anche in presenza di insulti locali di intensità minima (che magari in altre persone non causerebbero alcuna reazione infiammatoria). In base a questa teoria tra le cause della mattia rientra anche una componente autoimmune. L’importanza della predisposizione genetica è confermata dalla possibile associazione con il morbo di Paget dell’osso, con la retrazione palpare di Dupuytren e con la presenza di determinati geni del sistema HLA (dal quale dipende la risposta immunitaria).
Altri fattori di rischio per lo sviluppo della malattia di Peyronie sono rappresentati dal diabete, dall’ipertensione, dalle dislipidemie, dall’eccessivo consumo di alcool e dal fumo. Alcuni studi hanno inoltre ipotizzato un rischio più alto di sviluppare l’IPP nei pazienti sottoposti precedentemente ad alcune procedure urologiche, come l’intervento di prostatectomia radicale, le indagini strumentali uretrali o altre manovre urologiche implicanti traumatismi genitali o perineali.
Le fasi della malattia e i sintomi:
La malattia di Peyronie si sviluppa tipicamente attraverso due fasi distinte:
- la prima fase è quella dell’infiammazione acuta, che può essere frequentemente associata a dolore penieno, sia in erezione che a pene flaccido. In questa fase il pene in erezione inizia a curvarsi e a livello della tonaca albuginea inizia ad apprezzarsi un nodulo o una placca, la cui consistenza è aumentata ma non ancora del tutto rigida.
- la seconda fase è quella della fibrosi (o fase cronica), in cui la placca diventa molto dura al tatto, la curvatura del pene tende a stabilizzarsi e a non peggiorare ulteriormente, il dolore tipicamente scompare. Possono passare anche molti mesi prima che si arrivi alla fase cronica-stabilizzata della malattia.

La malattia di Peyronie va quindi considerata una malattia progressiva: in più del 50 % dei pazienti la curvatura del pene è destinata a peggiorare mentre in circa il 40% ci si può attendere una stabilizzazione; solamente in una percentuale di pazienti inferiore al 10% è stata osservata una riduzione spontanea della curvatura.
La distinzione delle due fasi e il preciso inquadramento del singolo paziente è molto importante: soprattutto nella prima fase dell’infiammazione acuta è possibile ottenere miglioramenti con la terapia non chirurgica, mentre una volta raggiunta la fase cronica è molto più difficile ridurre la curvatura peniena senza ricorrere a interventi chirurgici.
Induratio penis plastica e disfunzione sessuale:
L’impatto di questa malattia sulla vita sessuale è molto pesante e legato principalmente a questi aspetti:
- la curvatura del pene può arrivare a livelli tali da rendere impossibile la penetrazione,
- la possibile presenza di dolore in erezione,
- l’eventuale perdita di rigidità secondaria alla fuga venosa nella sede della placca (disfunzione erettile),
- le inevitabili ripercussioni psicologiche relative ad “ansia da prestazione”, ridotta autostima, percezione distorta della propria immagine corporea (del pene in particolare).
La terapia non chirurgica:

Sono disponibili vari farmaci nella terapia della malattia di Peyronie, sia da assumere oralmente che da utilizzare localmente a livello della placca.
Il loro impiego è volto a eliminare il dolore e ridurre l’estensione della placca e la curvatura del pene in erezione (o quantomeno evitarne la progressione).
In generale si tratta di presidi incapaci di eliminare la causa che porta alla malattia (dato che come detto resta ignota) e mirati “solamente” a impedire la fibrosi della tonaca albuginea.
E’ bene sottolineare subito come l’efficacia di questi farmaci sia solo parziale se utilizzati singolarmente e che i risultati migliori si ottengano con terapie combinate (“terapia multimodale”).
Altro punto fondamentale riguarda la tempistica del trattamento: i risultati sono sicuramente migliori quanto più precocemente nella storia naturale della malattia si inizia il trattamento.
Risulta inoltre molto difficile fare affermazioni precise riguardo la reale efficacia dei singoli trattamenti:
questo deriva dal fatto che gli studi scientifici a disposizione sono limitati, a volte con risultati contraddittori, e riguardano un numero tutto sommato non molto vasto di pazienti e con follow up abbastanza limitati.
1) Tra i farmaci ad assunzione orale si trovano:
Vitamina E: agisce come anti-ossidante naturale e protegge le cellule dai danni causati dai radicali liberi; sembra inoltre in grado di ostacolare la formazione di tessuti cicatriziali e di ridurre l’infiammazione. Nonostante nessuno studio scientifico sia mai riuscito a dimostrare la sua reale efficacia nel ridurre l’estensione della placca e la curvatura del pene, resta un farmaco molto utilizzato - anche per i suoi bassi costi e la sua sicurezza. Il suo impiego è mirato quindi soprattutto a ridurre la progressione della fibrosi e rientra spesso nell’ambito di terapie farmacologiche combinate.
Carnitina: è un particolare tipo di aminoacido (i “mattoni” che formano le proteine) che si trova normalmente all’interno di molte cellule del corpo umano. Può essere impiegato come supporto nella terapia di alcune patologie cardiache e neurologiche e molto spesso come integratore per migliorare le prestazioni atletiche o la fertilità maschile. I composti utilizzati sono l’Acetil-L-Carnitina e la Propionil-L-Carnitina. Hanno un effetto antiossidante e antiproliferativo, contribuendo a ridurre la proliferazione dei fibroblasti e la produzione di collagene. Alcuni studi scientifici hanno dimostrato una buona efficacia della carnitina nel ridurre il dolore e l’estensione della placca fibrotica, a fronte di effetti collaterali trascurabili. Nella pratica clinica i risultati sembrano discreti soprattutto quando utilizzata in fase precoce; tuttavia la risposta è notevolmente variabile da caso a caso e in un numero non troppo limitato di pazienti è risultata insoddisfacente. Risultati decisamente incoraggianti sembrano ottenibili dall’utilizzo combinato delll’acetil-l-carnitina con le iniezioni intra-placca di farmaci calcio-antagonisti.
Pentossifillina (Trental): è un farmaco ad azione inibitoria sull’enzima fosfodiesterasi deputato alla disattivazione dell’ossido nitrico (NO), un potente mediatore della vasodilatazione. La pentossifillina – favorendo un aumento della concentrazione locale dell’ossido nitrico – ha pertanto un’azione vasodilatante e favorisce in generale la circolazione sanguigna: si usa infatti tipicamente per problemi circolatori degli arti inferiori (come le ulcere cutanee) o per favorire la circolazione cerebrale nei pazienti con demenza vascolare.
Il farmaco ha inoltre un’azione anti fibrotica dovuta all’inibizione di un particolare “ormone” (il TGF ß1), implicato nell’attivazione dei fibroblasti e nella produzione di collagene. In due diversi studi è risultato efficace nel ridurre la curvatura del pene e l’estensione della placca e gli effetti collaterali abbastanza rari (nausea, vertiggini). Al pari della carnitina può essere utilizzato in terapie multimodali, tipicamente in associazione con iniezioni intra-placca di calcio-antagonisti.L’azione vasodilatante della pentossifillina è particolarmente utile nei pazienti con malattia di Peyronie e concomitante disfunzione erettile, dato che favorisce l’afflusso di sangue al pene durante l’erezione. La pentossifillina è infatti un “parente stretto” di farmaci più famosi come il sildenafil (viagra) o tadalafil (cialis), utilizzati nella terapia dell’impotenza. Questi ultimi appartengono alla famiglia degli inibitori della fosfodiesterasi-5 (PDE5): hanno quindi un’azione più selettiva su un solo sottotipo di fosfodiesterasi, maggiormente implicato con la vascolarizzazione del distretto penieno. Alcune suggestive ipotesi scientifiche sostengono un potenziale ruolo antifibrotico anche da parte degli inibitori della PDE5, aprendo ad un possibile utilizzo di questi farmaci (il cialis in particolare) nel trattamento orale della malattia di Peyronie.
Altri 3 farmaci teoricamente efficaci ma gravati da frequenti effetti collaterali sono:
- Potaba (potassio para-amino-benzoato): si ipotizza avere un effetto anti-fibrotico secondario all’aumentato assorbimento di ossigeno dei tessuti. Alcuni studi hanno effettivamente dimostrato benefici di questo farmaco sul dolore e sull’estensione della placca ma solamente a dosaggi tali (12 grammi al giorno) da rendere molto comuni fastidiosi effetti collaterali, soprattutto nausea e inappetenza. Al dosaggio normalmente usato nella pratica clinica (3 g) non sono presenti effetti collaterali ma l’efficacia sembra improbabile.
- Colchicina: è un potente farmaco antinfiammatorio in grado di inibire la produzione di collagene e favorire la lisi della fibrosi, usato soprattutto per gli attacchi di gotta e nella pericardite. Il suo impiego nella malattia di Peyronie è estremamente limitato dato che i risultati sono stati contraddittori a fronte di effetti collaterali abbastanza frequenti (come la diarrea) e in alcuni casi anche gravi (tossicità a livello del midollo osseo con conseguente calo dei globuli bianchi e anemia).
- Tamoxifene: è un farmaco ad azione anti-estrogenica (in particolare è un antagonista non steroideo del recettore per gli estrogeni), usato nella terapia del tumore del seno. Può avere inoltre un’azione inibitoria sulla formazione della fibrosi mediata dalla riduzione dell’attività fibroblastica. In generale vale lo stesso discorso fatto per la colchicina: viene utilizzato molto raramente dato che i risultati non sono eclatanti e gli effetti collaterali potenzialmente severi (impotenza, calo del desiderio sessuale, perdita dei capelli, cefalea, nausea..).
2) Altri farmaci si possono iniettare direttamente all’interno della placca (e/o nelle immediate vicinanze):
Verapamile (Isoptin): si tratta di un farmaco calcio-antagonista (o bloccante dei canali del calcio). Questi farmaci hanno un’azione vasodilatatoria e favoriscono la diminuzione del carico cardiaco; vengono pertanto tipicamente utilizzati in pazienti ipertesi o con problematiche cardiologiche di vario tipo. Nell’ambito della malattia di Peyronie l’iniezione di verapamil può contribuire a impedire la calcificazione della placca e favorire la rottura del collagene già depositato. La via di somministrazione diretta intra-placca ottimizza i risultati e riduce notevolmente gli effetti collaterali sistemici (la comparsa di ipotensione o bradicardia è rarissima). Alcuni studi mostrano risultati buoni nel ridurre la curvatura e l’estensione della placca quando il farmaco viene usato precocemente. Nella pratica clinica i risultati sembrano discreti, anche se non costanti e riproducibili in tutti i pazienti. Occorre sottolineare come questo trattamento sia abbastanza invasivo e preveda iniezioni settimanali (eseguibili anche in anestesia locale) per cicli di terapia piuttosto lunghi (almeno 10-12 settimane).
Collagenasi: è un enzima prodotto da un determinato batterio (il clostridium hystolyticum) capace di distruggere il tessuto fibroso e la placca di collagene. I farmaci a base di collagenasi (Xiapex in Europa, Xiaflex in USA) rappresentano una recentissima novità nella terapia dell’IPP e – grazie agli ottimi risultati degli studi preliminari – hanno ottenuto l’autorizzazione della FDA e dell’EMA: la collagenasi è pertanto l’unico farmaco con precisa indicazione per il trattamento della malattia di Peyronie (tutti gli altri vengono infatti prescritti al difuori delle loro reali indicazioni, “off label”). In Italia Xiapex è stato autorizzato nel novembre 2016 per il trattamento di pazienti affetti da IPP con curvatura peniena compresa tra i 30 e i 90 gradi. Il ciclo di trattamento prevede in genere 4 iniezioni intra-placca eseguite in anestesia locale e a pene flaccido; ogni due iniezioni è prevista una seduta di “manipolazione” peniena (sempre in anestesia locale) da parte del medico urologo-andrologo, con lo scopo di “rompere” manualmente la zona fibrosa. L’efficacia del farmaco sembra effettivamente buona e probabilmente superiore a quella delle altre soluzioni non chirurgiche disponibili. E’ tuttavia troppo presto per capire se potrà avere un ruolo determinante nella cura dei pazienti affetti da IPP: alcune perplessità riguardano da un lato i costi molto elevati (una singola fiala costa oltre 1000 euro) e dall’altro le possibili complicanze locali risultate abbastanza frequenti (ematoma penieno, edema e dolore) e in alcuni casi anche severe (rottura dei corpi cavernosi osservata in 3 pazienti su 551 arruolati nello studio, 0,54%).
In Italia viene attualmente utilizzato un protocollo modificato che prevede un numero limitato di iniezioni, in modo da ridurre il rischio di complicanze. I risultati sembrano decisamente buoni. Se ne parla in questo articolo.
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Interferone: si tratta di una proteina normalmente prodotta dal sistema immunitario durante infezioni virali. La sua azione è quella di modulare la risposta immunitaria e ha trovato impiego nella terapia di alcuni tumori e di malattie auto-immuni (come la sclerosi multipla). L’interferone a-2b (IntronA) ha inoltre un’azione inibitoria sulla proliferazione fibroblastica e la produzione di collagene. E’ stato valutato nella terapia intra-placca dell’IPP in diversi studi scientifici: i risultati sono stati buoni a fronte di effetti collaterali di entità medio-lieve (sindrome simil-influenzale con febbre, astenia, mialgia e sinusite). E’ tuttavia in fase sperimentale e nulla si può dire ancora sulla sua reale efficacia nella pratica clinica. I costi sono decisamente alti.
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Acido ialuronico: si tratta di uno dei componenti fondamentali del tessuto connettivo umano. Trova molteplici impieghi, soprattutto nella medicina estetica. In un unico studio prospettico è stato valutato nel trattamento locale della placca di IPP e si è dimostrato efficace e sicuro (effetti collaterali minimi). Sembra indicato nella fase precoce (acuta) della malattia ma è troppo presto per arrivare a conclusioni su un suo possibile utilizzo nella pratica clinica. I costi sono decisamente inferiori rispetto a collagenasi e interferone.
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Concentrato piastrinico (PRP): comporta l’iniezione intra-placca di piastrine concentrate precedentemente prelevate dal paziente. Questo tipo di approccio è ancora in fase ipotetica ed è stato impiegato nella terapia dell’IPP in modo sperimentale e al di fuori di trial scientifici. E’ una procedura molto “di moda” soprattutto in campo fisiatrico e ortopedico, ma nulla si può dire sulla sua reale efficacia nella malattia di Peyronie. Essendo materiale autologo i costi sono contenuti e gli effetti collaterali minimi.
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Steroidi: farmaci a base di cortisone sono stati a lungo impiegati nella terapia locale dell’IPP. Gli ultimi studi scientifici hanno tuttavia dimostrato la loro inefficacia sia nella gestione del dolore sia nella diminuzione della curvatura. Gli effetti collaterali a lungo termine includono atrofia dei tessuti con assotigliamento cutaneo.
3) Altre possibili soluzioni terapeutiche non chirurgiche comprendono:
l’impiego di farmaci per via topica: si tratta in genere di gel o creme; hanno il vantaggio di evitare l’iniezione ma il loro assorbimento nella placca resta un’incognita. Risultati buoni sono stati riportati dall’utilizzo di un gel a base di nicardipina, superossido dismutasi e olio di emu ("H-100 gel") in un singolo studio prospettico su un numero limitato di pazienti.
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Ionoforesi: è una tecnica di somministrazione farmaceutica attraverso l’epidermide che utilizza una corrente elettrica in modo da agevolare la penetrazione del farmaco. Può essere considerata come un’”iniezione senza ago”. La ionoforesi con verapamil viene utilizzata nella terapia dell’IPP come alternativa meno invasiva rispetto alle iniezioni intra-placca. La sua reale efficacia deve essere ancora verificata.
Onde d'urto (ESWT): sono onde meccaniche generate all’esterno del corpo (“extracorporeal shockwave treatment”) e indirizzate verso la placca con lo scopo di frammentarla e “ammorbidirla”. E’ lo stesso principio del “bombardamento” dei calcoli renali (ESWL). I risultati sono buoni solo nella fase iniziale della malattia, dove si verifica la riduzione delle dimensioni della placca e la scomparsa del dolore; al contrario, nella fase cronica con curvatura stabilizzata, le onde d'urto si sono rivelate inefficaci.
sistemi di trazione peniena: si tratta di apparecchi meccanici che sottopongono il pene a una costante e moderata trazione in allungamento. Questa tensione sembra poter favorire la produzione di nuovo tessuto connettivo con possibile rimodellamento della placca. Gli studi disponibili sono pochi ma l’efficacia sembra buona con effetti collaterali minimi e costi bassi. Lo svantaggio è dato dal fatto che devono essere utilizzati per molte ore al giorno e per periodi molto lunghi (con ovvie relative problematiche): possono essere proposti solo in pazienti estremamente motivati.
Come messaggio conclusivo relativo alla terapia non chirurgica della malattia di Peyronie, possiamo affermare che non esiste un farmaco di sicura efficacia in tutte le persone. Tutti i farmaci proposti hanno dimostrato risultati spesso buoni negli studi scientifici, ma la loro reale efficacia nella pratica clinica è stata variabile e spesso non costante (alcuni pazienti hanno sperimentato risultati buoni, altri pessimi). La sensazione è che solo una terapia combinata (“multimodale”) possa garantire risultati accettabili. In quest’ottica esistono protocolli che prevedono l’assunzione di farmaci orali (più spesso la carnitina e la pentossifillina) in associazione a farmaci somministrati localmente (attualmente il verapamile, in attesa di eventuali ulteriori conferme per la collagenasi, l’interferone e l’acido ialuronico) e all’utilizzo eventuale dei sistemi di trazione.
Il trattamento chirurgico:
In presenza di curvature stabilizzate e severe oppure quando i risultati delle terapie alternative si rivelano non soddisfacenti, l’unica soluzione percorribile è rappresentata dall’intervento chirurgico.
E’ fondamentale proporre il trattamento chirurgico solo a pazienti con malattia di Peyronie in fase cronica, ovvero con curvatura stabilizzata da almeno 3 mesi.
Tutte le soluzioni chirurgiche devono essere preventivamente discusse con il paziente dato che comportano vari rischi come l’accorciamento del pene, la perdita di sensibilità peniena, l’impotenza, la possibilità di curvature recidive, la necessità di eseguire comunque una circoncisione e la possibilità di palpare nodi di sutura sottocutanei. L’incidenza di queste complicanze è variabile in base al tipo di intervento eseguito e alla sede della placca.
Si distinguono 3 possibili tipi di intervento:
- Interventi con accorciamento penieno: prevedono di creare in maniera artificiale una retrazione della tonaca albuginea in sede esattamente opposta a quella della placca, che quindi non viene “toccata” e risulta invariata. In questo modo si annulla la forza di trazione della placca e il pene ritorna dritto. Questo effetto può essere ottenuto in vari modi: con l’asportazione e successiva sutura di una piccola porzione di tonaca albuginea opposta alla placca (intervento di corporoplastica secondo Nesbit) oppure con una semplice plicatura nella stessa zona. Sono procedure efficaci e relativamente semplici ma comportano la riduzione della lunghezza del pene variabile tra 1 e 2 centimetri.
- Corporoplastica con escissione della placca: comportano la rimozione della porzione di tonaca albuginea interessata dalla placca e la sua sostituzione con un innesto prelevato da un’altra sede del corpo (come la mucosa della bocca, il derma, pareti venose ecc..). In questo modo la lunghezza del pene in erezione dovrebbe tornare ad essere uguale a quella presente prima dell’insorgenza della malattia. Si tratta di interventi molto complessi e gravati da un'incidenza non trascurabile di disfuzione erettile da fuga venosa. Esiste inoltre un certo rischio di retrazione dell’innesto con conseguente recidiva della curvatura e accorciamento del pene. Questo tipo di intervento non è indicato in pazienti con associata disfuzione erettile, con curvature severe in direzione ventrale e con età superiore ai 60 anni.
- Impianto di protesi peniena: è l’unica soluzione possibile nei casi in cui la curvatura è associata a disfunzione erettile resistente ai comuni farmaci orali.
Messaggio conclusivo:
La malattia di Peyronie comporta una curvatura del pene in erezione dovuta alla perdità di elasticità di una porzione della tonaca albuginea che va incontro ad un processo di infiammazione (in una prima fase acuta) e successivamente a fibrosi cicatriziale (nella fase cronica). Le cause sono ancora oggi ignote e si ipotizza un ruolo importante di piccoli traumi ripetuti in soggetti geneticamente predisposti. Esistono diversi possibili trattamenti non chirurgici ma nessuno è dotato di un’efficacia assoluta e costante: la risposta nel singolo paziente è variabile e poco prevedibile. I risultati sembrano migliori quando si utilizzano diversi approcci terapeutici combinati (terapia multimodale). La percentuale di successo della terapia è maggiore quanto più precocemente viene iniziata: è quindi fondamentale che il paziente si rivolga all’urologo-andrologo in tempi brevi dopo la comparsa dei primi sintomi. Quando i risultati della terapia conservativa non sono soddisfacenti – in presenza di curvature severe e stabilizzate – si può ricorrere all’intervento chirurgico.
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